Piano, Pianissimo…praticamente a piedi

friday post foto 1Ho passato gli ultimi mesi a raccogliere i pezzi di situazioni che iniziavano a starmi strette, a ragionare sul perché ero finita in quella specie di circolo vizioso dal quale non riuscivo proprio a sganciarmi.
Ho smesso di leggere libri (da ottobre ad oggi ne avrò terminati, forse, tre, e non era proprio accettabile, vi pare?), mi è passata la voglia di scrivere, creare e anche, lo confesso, la forza di prendermi cura di me stessa.
Beh, almeno per un mese e mezzo non ho avuto voglia di muovermi.
Sono stata ferma. Immobile.
Bloccata da una sorta di paralisi mentale ed emotiva che ha rischiato di prendere il sopravvento.
Ora non starò qui a tediarvi con il resoconto dettagliato dei miei drammi personali.
Vi basti sapere che sto meglio.
Cioè, i problemi ci sono ancora, in buona parte.
Ma li affronto e sto uscendo pian piano da quel guscio ovattato che mi sono costruita intorno negli ultimi mesi del 2013.
Erano almeno un paio di settimane che avevo voglia di tornare a scrivere in questo mio spazio che, ultimamente, ho trattato con così poco rispetto.
Solo che non sapevo bene da che parte incominciare.
Di cosa parlare.

Della scuola di Sara e del fatto che quest’anno ha un’agenda fitta di impegni che manco la sora Betty? Dei miei esami universitari, molto simili ad un episodio di Fawlty Towers (solo che poi prendo anche voti più che decenti)? Degli amici/parenti che in quest’ultimo periodo mi sono venuti a trovare?

In effetti ne potrei scrivere di cose. E forse lo farò, se la memoria non inizierà a fare cilecca (e ultimamente sono assai smemorata).
Magari vi porto a teatro con me, visto che quest’anno mi sono ripromessa di andare a vedere più spettacoli che posso.
O, perché no, potrei raccontarvi dei miei viaggi futuri (non nello spazio e non immaginari!).
Insomma.
Avrei potuto scegliere un giorno qualunque per ricominciare a scrivere e vi avrei potuto parlare di un milione di cose.
E ho scelto di tornare oggi.
Di venerdì.
E non un venerdì qualunque.
Oggi, infatti, è l’ultimo giorno del grande sciopero della metropolitana di Londra.
No, rendetevi conto.
Questi non fanno sciopero praticamente MAI.
E hanno deciso di incrociare le braccia lo scorso martedì.
“Fortunatamente” i bus funzionavano. Vi lascio soltanto immaginare.
In tv trasmettevano video apocalittici di gente che non si dava pace e continuava ad aspettare il suo treno per andare a lavoro.
Un mare di persone, con le borse, la travel mug e il giornale sotto il braccio.
Persi in un’odissea alla quale non erano preparati (e io non ho potuto fare a meno di pensare a tutte le volte, tante, troppe, che mi sono ritrovata nella medesima situazione a Roma…).
Oggi dicevo è l’ultimo giorno del big strike.
Solo che stavolta andare sul bus è stato ancora più traumatico.
Questa mattina con la Saruccia siamo saliti sul nostro fido 176 alle 8:15 (di solito, quando non c’è traffico, raggiungiamo la scuola in 20 minuti netti, altrimenti al massimo si arriva per le 8:45).
Ne siamo scesi correndo come manco Beep Beep per raggiungere la scuola dietro l’angolo e con la lingua srotolata a mo’ di red carpet.
Lei è entrata in classe alle 9:35.
Che cazzarola, ad andare a piedi arrivavamo prima.
Meno male che domani è sabato e ci possiamo riposare un pochino.
Ah no giusto: c’è la Music Academy.
Un altro bus da prendere.
Fortuna che lo strike sarà un lontano ricordo.
Ma magari ne riparliamo al prossimo post.
P.S. Son tornata!! (diciamo cosi’…vediamo quanto dura)

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